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La ventricolocisternostomia
La ventricolostomia è stata introdotta nei primi del Novecento come trattamento alternativo per l'idrocefalo. Walter E. Dandy [Biografia] è stato il primo chirurgo ad utilizzare un primitivo endoscopio per eseguire una plessectomia coroidea in un paziente con idrocefalo comunicante.
La prima terzoventricolostomia endoscopica (ETV) è stata eseguita da William Mixter, un urologo, nel 1923, utilizzando un uretroscopio
(bibl. 40)
. Tracy J. Putnam perfezionò l'uretroscopio ottimizzandolo per la ventricoloscopia e la cauterizzazione dei plessi coroidei in bambini con idrocefalo.
(bibl. 41)
Con il progresso della tecnologia e lo sviluppo delle fibre ottiche, le procedure neurochirurgiche endoscopiche sono diventate sempre più popolari, anche grazie alla loro minima invasività.
L'intervento di ETV offre una soluzione più "fisiologica" al problema dell'idrocefalo rispetto agli shunts ventricolari, consentendo di creare un passaggio di LCS dai ventricoli direttamente negli spazi subaracnoidei; permette, inoltre, ai pazienti affetti da idrocefalo un'esistenza shunt-free, cioè senza i problemi connessi alle complicanze degli shunts.
Attualmente l' ETV è principalmente utilizzata nel trattamento dell'idrocefalo ostruttivo causato da stenosi congenita o acquisita dell'acquedotto o da lesioni comprimenti gli spazi periacqueduttali. In questa popolazione di pazienti la percentuale di successo (senza necessità di uno shunt ventricolare) si avvicina all' 80-95%. L'ETV si è rivelata di efficacia superiore allo shunt ventricolare nei casi di idrocefalo causato da tumori della regione pineale.
Si considerano candidabili alla terzoventricolocisternostomia pazienti che presentino segni e sintomi di idrocefalo e dimostrino, alla RMN pre-operatoria, riscontri anatomici tali da far ipotizzare il successo della procedura: un terzo ventricolo sufficientemente dilatato da consentire i movimenti dell'endoscopio senza danneggiare le pareti laterali del ventricolo, con un quarto ventricolo di dimensioni normali o ridotte; spazio sufficiente, evidenziabile nelle sezioni sagittali della RMN, tra il pavimento del ventricolo e l'arteria basilare da consentire con sicurezza l'esecuzione della stomia.
L'intervento consiste nell'effettuare, a livello del pavimento del III ventricolo (area del tuber cinereum), una stomia verso gli spazi cisternali della base (cisterna interpeduncolare).
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Fig. 1 | Fig. 2 | Fig. 3 |
L'endoscopio viene inserito attraverso un foro di trapano appena anteriore alla sutura coronale e 2,5 cm laterale alla linea mediana (fig. 1). La dura madre deve essere adeguatamente aperta per evitare eccessive trazioni durante la fase di mobilizzazione dell'endoscopio (fig. 2). Il forame di Monro (fig. 3) è in genere la prima struttura identificata: i forami di Monro connettono i ventricoli laterali con il terzo ventricolo; la testa del nucleo caudato è situata lateralmente, il setto pellucido medialmente; il plesso coroideo del ventricolo laterale si proietta attraverso il forame per poi piegare posteriormente e proseguire nella volta del terzo ventricolo inferiormente alla tela coroidea. La vena del setto pellucido, situata anteromedialmente, si unisce alla vena talamostriata, situata postero-lateralmente, a livello del margine posteriore del forame, dando origine alla vena cerebrale interna. Il fornice è in rapporto con il margine antero-mediale del forame di Monro.
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Fig. 4 | Fig. 5 | Fig. 6 |
Superato il forame di Monro si ispeziona il pavimento del III ventricolo (formato dal chiasma ottico, il tuber cinereum con l'infundibolo, i corpi mammillari e la sostanza perforata posteriore) identificando l'area del tuber cinereum, tra il recesso infundibolare anteriormente e la salienza dei corpi mammillari posteriormente (fig. 4); al di sotto può intravedersi la biforcazione dell'apice dell'arteria basilare.
La ventricolostomia è in genere effettuata anteriormente all'arteria basilare. Le tecniche proposte per il suo confezionamento sono varie. la più utilizzata è la perforazione (fig. 5) e l'allargamento della stomia con un palloncino cilindrico del Fogarty 3 Fr (fig. 6 e fig. 7).
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Fig. 7 | Fig. 8 | Fig. 9 |
Ottenuta un'apertura di circa 5 mm (fig. 8), l'endoscopio è quindi delicatamente spinto attraverso la stomia nella cisterna pre-pontina: ogni eventuale membrana (membrana di Liljequist) o banda di aracnoide, che potrebbe interferire con il corretto funzionamento della stomia, viene rimossa (fig. 9). Infine, retraendo l'endoscopio e interrompendo l'irrigazione di Ringer (che durante tutta la procedura compensa la fuoriuscita di liquor rendendo ottimale la visione e facilitando l'emostasi) si possono vedere i margini della stomia fluttuare sospinti dal flusso di liquor, a conferma della buona riuscita dell'intervento.
Una variante a questo intervento prevede la fenestrazione della lamina terminale aprendo la stomia del III ventricolo verso la cisterna ottico-chiasmatica. Infine è prevista la possibilità di ripristinare la pervietà dell'acquedotto stenotico anche mediante uno stent
(ff).
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(ff) Lo "stent" è un dispositivo costituito da un tubetto cavo di maglia metallica di dimensioni adeguate che, introdotto per via endoscopica nel canale acqueduttale, serve a mantenerlo pervio, realizzando una vera e propria "plastica" del medesimo.