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Procedure Chirurgiche
In genere la craniotomia era praticata a sinistra, in ragione del fatto che le lesioni, prevalentemente traumatiche, erano riportate in battaglia ed inferte da nemici di solito destrimani. Le lesioni (e la craniotomia relativa) riscontrate a destra nei reperti della Sardegna fanno pensare, invece, che quello fosse stato il lato meno difeso dallo scudo (che veniva imbracciato con la sinistra) [vedi anche più sopra].
Le ossa craniche maggiormente sottoposte a trapanazione sono state, in ordine, l'osso parietale, quello frontale, l'occipitale e, infine, il temporale. Stewart (1958) riporta, però, in una ampia casistica di 112 trapanazioni in Perù, il 48.2% di interventi sul lato sinistro, 29.5% sul destro, ma il 22.3% sulla linea mediana. Inoltre, 53.6% nell' area frontale, 33% parietale e solamente il 13.4% nell'area occipitale.
Per Lucas-Championnière, la sutura sagittale fu sempre accuratamente evitata, presupponendo, quindi, che gli antichi chirurghi avessero una qualche conoscenza anatomica della regione (evitare, cioè, il sottostante seno venoso), mentre altri ricercatori asseriscono che mai nessuna sutura fu coinvolta negli interventi. Tuttavia, nelle osservazioni di Steward in Perù è evidente che non vi fu rispetto né della sutura saggitale (22.3% di interventi), né della coronale né della lambdoidea.
Il maggior numero di reperti rinvenuti mostra una trapanazione singola. Tuttavia non mancano casi di crani con due, tre o anche cinque trapanazioni. Oakley e coll. (1959) descrivono ben sette aperture nel cranio di Cuzco!
Come anestetico, l'alcool pare abbia avuto la più ampia diffusione, con variazioni d'uso appropriate alle regioni: vino d'uva in genere; vino di palma per gli africani; grappa per le popolazioni balcaniche. Gi Egizi aggiungevano anche oppio, mentre gli Inca varie preparazioni della pianta di coca.
Lo strumentario degli più antichi chirurghi era costituito da pochi strumenti di pietra scheggiata (selce), di ossidiana o di osso. In tempi successivi, si cominciarono ad usare i metalli, il rame, il bronzo, il ferro.
Russu e Bologa (1961) descrivono una sega trovata in quella che fu l'ultima dimora di un "uomo della medicina" dell'epoca celtica (II secolo a. C.) in Romania. Lo strumento, che misura 11 cm. di lunghezza ed è forgiato in un unico pezzo di ferro, ha una lama a mezzaluna dalla cui metà si innesta uno stelo che termina con un manico diritto. La lama è molto sottile e dentellata verso la superficie di taglio, più inspessita verso la base. Questo sistema a cuneo impedisce di effettuare tagli più profondi di 5-7 mm.
Lo strumentario comprendeva, oltre a seghe e rasoi, anche punteruoli, scalpelli, raschietti e piccole leve o sonde.
Le tecniche chirurgiche di trapanazione proposte sono fondamentalmente quattro: 1) la raschiatura; 2) il solco; 3) la perforazione e taglio; 4) l'incisione a linee rettangolari intersecantisi.
Raschiatura
Come dice il termine, la tecnica consiste nel rimuovere l'area di osso interessata raschiandola gradualmente con uno strumento molto affilato. Si raschia dapprima il tavolato esterno e la diploe; poi, con grande cura, il tavolato interno fino ad esporre la dura. L'osso asportato risulta ridotto in polvere.
È la tecnica più antica, il cui esempio classico è il cranio di Saqqara. Fu utilizzata anche durante il Rinascimento Italiano e, nel Medioevo, in Romania.
Solco
Il metodo del solco consisteva nell'incidere l'area di osso interessata con uno strumento aguzzo secondo linee circolari, ripassando ripetutamente, fino ad ottenere la perforazione dell'osso. La rondella d'osso risultante era poi rimossa. È interessante notare che, generalmente, l'orifizio sulla lamina esterna aveva diametro maggiore di quello sull'interna, dando in tal modo alla superficie di taglio un aspetto piuttosto inclinato.
Questo fu, probabilmente, il sistema maggiormente utilizzato per ottenere (su defunto) rondelle da usarsi come ciondoli od amuleti. Nel vivente, fu un metodo usato di frequente e un po' dovunque. In Romania fu il metodo di scelta.
Perforazione e taglio
Questa tecnica si avvale di un metodo in tre tempi: dapprima si esegue, in un'area circolare, una serie di piccole perforazioni complete ed adiacenti; quindi, si connettono i fori così ottenuti, tagliando tra loro con uno strumento affilato; infine, si estrae il frammento d'osso libero.
Raramente utilizzata nel preistorico (si ha notizia di un solo caso, trovato in Perù), questa metodica fu ampiamente descritta da Celso (I secolo d.C.) [vedi Biografia in I Grandi Maestri] che ne consigliava l'uso nelle fratture craniche infossate. Egli suggeriva, infatti, in questi casi, di effettuare una serie di piccole trapanazioni nella zona di confine tra l'osso fratturato e il sano; quindi, uno scalpello, fatto passare tra un foro e il suo adiacente, permetteva di rimuovere il ponticello osseo che li separava. Questo intervento chirurgico fu poi adottato dagli Arabi, divenne la pratica standard durante il Medioevo e raccomandata da Ruggiero Fugaldo, detto Ruggero De Salerno, intorno al 1200, uno dei medici più insigni della Scuola Medica Salernitana.
Incisione a linee rettangolari intersecantisi
La tecnica consisteva nell'incidere l'osso con tagli che si susseguivano tra loro ad angolo retto fino a delimitare un area rettangolare che veniva poi asportata.
Questa tecnica fu ampiamente adottata dalle civiltà andine pre-colombiane. Allo scopo erano utilizzati coltelli e seghe caratteristici chiamati "Tumi". Casi isolati sono ricordati in Francia (Neolitico) e in Palestina (Età del Ferro).